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22/07/2016 - 09:09:18

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VARIAZIONI TERRITORIALI: UN BRUTTO PASTICCIO. RESPONSABILE INNANZITUTTO L'ASSEMBLEA REGIONALE

Il Direttore di Startnews analizza la bocciatura da parte dell’ARS dei decreti legislativi relativi al nuovo assetto territoriale della Sicilia.


Variazioni territoriali: un brutto pasticcio. Responsabile innanzitutto l'Assemblea regionale "Il sabato del villaggio" di Fausto Carmelo Nigrelli

La settimana che si avvia a conclusione è stata caratterizzata, per quanto riguarda il villaggio piazzese e il più vasto villaggio del centro della Sicilia da alcuni fatti importanti. Due di cronaca: la grande truffa all’INPS che riguarda il settore agricolo e il drammatico incendio doloso che ha mandato in fumo, pare, circa 1000 ettari di bosco, in gran parte della Riserva di Rossomanno-Grottascura-Bellia; uno che riguarda la cultura: la prima settimana di apertura, a Troina, della mostra “Omaggio a Tiziano”, con la quale la piccola città del Parco dei Nebrodi, consolida il suo ruolo tra le capitali della cultura nella Sicilia senza mare; un quarto: la bocciatura da parte dell’ARS, con amplissima maggioranza, della variazione territoriale che avrebbe portato Gela, Niscemi e Piazza dentro la Città metropolitana di Catania e Licodia Eubea dentro il Consorzio di comuni di Ragusa.

Quest’ultimo, per la rilevanza e le conseguenze, merita oggi un particolare approfondimento.
Si tratta dell’esito di un brutto pasticcio di cui è responsabile innanzitutto un’Assemblea regionale assolutamente inadeguata ad affrontare la pur minima riforma, figuriamoci una quasi rivoluzione come quella che avrebbe dovuto portare all’eliminazione delle province.
Le motivazioni principali della sonora bocciatura (49 voti su 65 presenti) riguardano il trasferimento della quota parte di debito e di parte del personale della provincia di provenienza all’ente, chiamiamolo così, di arrivo; la difformità del quesito referendario sul quale si erano espresse le comunità rispetto all’ente territoriale costruito a fine percorso; il mancato coinvolgimento delle comunità che avrebbero dovuto accogliere le città transfughe. Non detta, c’è la preoccupazione dei possibili candidati alle prossime elezioni regionali nei diversi collegi, alla luce della riduzione da 90 a 70 dei componenti dell’ARS, di avere più difficoltà nelle elezioni o rielezioni per la presenza di candidati provenienti dalle tre città (in particolare da Gela).

Diciamolo subito: la bocciatura era scontata, poiché le motivazioni sono fondate ed erano ampiamente note già durante il tortuoso iter della legge (a dire il vero, delle leggi, ben cinque).
Il debito. La legge prevede che ogni comune che avrebbe deciso di transitare a un altro ente intermedio, avrebbe portato con sé, in proporzione al numero degli abitanti, la quota parte del debito della provincia di provenienza e, poiché tutte e nove le provincie sono gravate da un non ben precisato, ma cospicuo, debito ormai storico, la questione non è di poco conto. Tale debito, infatti, sarebbe stato suddiviso tra i comuni dell’ente di arrivo che già sopportano la quota parte del debito della loro ex provincia. Per esempio Gela, che da sola ha circa il 30% della popolazione della ex provincia di Caltanissetta, avrebbe portato con sé, per fare riferimento al bilancio della provincia di Caltanissetta del 2014, un milione di euro di debiti, ai quali si sarebbero poi aggiunti quelli del debito “storico”. Analogamente per il personale attualmente in servizio nelle ex province regionali, del quale si parla di non meglio definiti, esuberi. Ovvio che i comuni “nativi” della Città metropolitana di Catania, cioè quelli che appartenevano alla provincia etnea, non hanno alcuna voglia di farsi carico di questi ulteriori costi.

E qui sta la seconda questione: i confini del nuovo ente.Quando le comunità delle tre città che avevano iniziato l’iter del trasferimento sono state chiamate a votare per il referendum nel settembre 2014, il percorso conduceva fuori dalle ex province di Caltanissetta ed Enna verso il Consorzio denominato “di Catania”, ma che non comprendeva né la città etnea, né gli altri 26 comuni dell’area metropolitana catanese. Esso era composto dal calatino e dall’Etna nordoccidentale e, con la legge allora vigente, avrebbe avuto come comune “capoluogo” Gela. La città metropolitana è tutt’altra cosa: comprende tutti i comuni della ex provincia di Catania, ha 750 mila abitanti in più e avrebbe avuto ben altre gerarchie demografiche: per esempio nel primo consorzio Piazza era l’ottava città per numero di abitanti; nella città metropolitana sarebbe stata al sedicesimo posto (tralascio che nell’attuale consorzio di Enna è il secondo). Per usare una metafora è come se a una persona viene venduto un biglietto per andare a Parigi e la si fa salire su un aereo che porta a Pechino. Se anche fosse conveniente allo stesso prezzo andare in Cina, quella persona potrebbe non volerci andare.

È vero che poi con un ulteriore articoletto di legge si cercò di sanare il vulnus e che l’ufficio legislativo della Regione e l’assessorato Autonomie locali avevano considerato validi i referendum, ma il problema era rimasto sostanzialmente intatto.
Ultima questione, anch’essa ampiamente nota fin dall’inizio di questa telenovela. Le comunità delle città “native” degli enti di arrivo non sono mai state sentite perché la legge non lo ha mai previsto. Per fare un esempio, i calatini non hanno mai potuto esprimersi per dire se volevano fare parte di un ente intermedio insieme ai gelesi, ai niscemesi e ai piazzesi. Se fosse giunto a conclusione l’iter che portò al referendum del 2014, per fare un esempio, Caltagirone avrebbe fatto parte – forzatamente – di un ente in cui il capofila sarebbe stata Gela, con la quale i calatini non hanno mai avuto buoni rapporti.
Ora è normale e, perfino giusto che i componenti dei comitati promotori dei referendum e dell’abbandono delle ex province di Caltanissetta ed Enna sostengano che con questa votazione l’ARS non ha rispettato il voto democratico degli elettori delle tre città, ma è incontrovertibilmente vero che il mancato coinvolgimento degli altri comuni è una simmetrica mancanza di democrazia. Se il consorzio deve essere libero, le comunità devono essere libere, appunto, di lasciarne uno per andare in un altro, ma quelle che già ci sono devono essere libere di accettare o no la profferta. Un matrimonio, insomma, si fa in due.
Rimangono sul piatto, ora, notevoli problemi politici. A Votare a favore della variazione territoriale solo stati i grillini in massa (12 su 12 presenti) e tre deputati di Forza Italia. I primi sono stati tra i più forti sostenitori della variazione, hanno vinto a Gela le elezioni amministrative (salvo poi espellere il sindaco) e sono fortemente attivi sia a Piazza che a Niscemi. Tuttavia nelle recenti amministrative di Caltagirone sono rimasti al quarto posto con appena il 10% mentre sono andati al ballottaggio candidati che non apparivano favorevoli a stringere rapporti con le tre città. È un segnale.

Il Pd, o meglio quella galassia di gruppetti un contro l’altro armati che ne rimane dopo due anni e mezzo di segreteria Raciti, a Piazza si è dissolto a partire dalla questione territoriale e oggi non si capisce più chi lo rappresenta, a parte i consiglieri comunali eletti; a Gela ha addirittura un circolo per ogni parlamentare regionale o leader locale.
In questo quadro la patata bollente passerà in mano alla nuova ARS che, a dar ragione ai numerosi sondaggi, sarà il primo consiglio regionale in Italia a essere guidato dal M5S. Solo allora si capirà come potrà essere sciolto un così aggrovigliato nodo e se i grillini saranno capaci di contemperare diritti e richieste legittimi, ma non convergenti delle diverse comunità.

Fausto Carmelo Nigrelli



 

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