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18/02/2017 - 09:55:15

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PIAZZA ARMERINA: AMMINISTRATORI IMBELLI E CITTADINI RASSEGNATI. LA METAFORA DELLA PALMA MORTA.

Una comunità che ha perso il senso dello stare insieme, del condividere (dividere con), della difesa quotidiana dei propri diritti e del proprio decoro e perfino la capacità di indignazione


Piazza Armerina: amministratori imbelli e cittadini rassegnati. La metafora della palma morta. Il sabato del Villaggio di Carmelo Nigrelli
 

“La palma va a nord”, si intitolava una raccolta di articoli di Leonardo Sciascia e di interviste all’intellettuale recalmutese pubblicato da una piccola casa editrice nel 1982.
Nella breve introduzione Sciascia riportava alcuni suoi versi degli anni sessanta in cui, tra l’altro, scriveva:

Gli scienziati 
dicono invece che la linea della palma 
non ha niente a che fare 
con la marcia dell’Islam, e si sposta 
di cinquecento metri ogni anno 
verso il nord. 

La palma era per Sciascia metafora della meridionalizzazione dell’evoluzione della società italiana, nel senso che i sistemi sociali, economici, politici e criminali che girano attorno alle mafie del sud, si stavano estendendo – questa la lettura sciasciana – al resto d’Italia. Quanto avesse ragione è sotto gli occhi di tutti anche senza pensare a Roma capitale, agli affari dell’Expo o al raggio magico romano.
E la palma oggi propongo ancora come metafora dell’attuale situazione della ridente cittadina del centro della Sicilia nella quale abbiamo la ventura di vivere. 

A Piazza le palme adornavano tutti i giardini pubblici, i chiostri, i giardini privati e spesso erano accanto alle case di campagna, simbolo del Mediterraneo nella Sicilia più lontana dal mare. Nel 2010 arrivò il punteruolo rosso che già aveva sterminato buona parte delle palme lungo la costa siciliana.
In tre anni morirono meno di una decina di palme, tra cui quella monumentale che era ad Atrio Fundrò e una delle 22 che si trovavano in piazza Boris Giuliano. La guerra contro il punteruolo combattuta dagli addetti al verde pubblico sotto la guida degli assessori, fatta da continue instillazioni di antidoti nelle piante sane e immediata rimozione e incenerimento di quelle attaccate, aveva contato alcune vittime, ma nel complesso funzionava.
Dall’estate 2013 al febbraio 2015 esplose l’epidemia. Solo alla villetta (Piazza G.B. Giuliano)  a febbraio 2015 erano morte sette palme e altre tre erano colpite, mentre tutte quelle di piazza Garibaldi cadevano sotto i colpi del coleottero africano. A dicembre in piazza Boris Giuliano ne erano rimaste nove delle ventidue, di cui tre già attaccate dal coleottero. Ora ce ne sono solo tre, di cui una è già morta.
Nei 44 mesi di governo dell’attuale amministrazione, mentre morivano una dopo l’altra tutte le palme dei giardini pubblici della città (anche in piazza Cascino non ne sono rimaste) non si è visto un solo intervento, un solo trattamento tra i diversi consigliati in questi casi dagli agronomi. 
Si è lasciato che le palme morissero una dopo l’altra. Senza neanche guardarle
Molti mi dicono che contro il punteruolo rosso non si sarebbe potuto fare niente. Forse è vero, ma io registro che non si è voluto fare niente. Non un tentativo di prevenzione dopo che fu colpita la prima palma. Non un trattamento. Solo l'attesa indolente della fine della strage. 
E tutto ciò è avvenuto senza una protesta, un post, un tweet di associazioni ambientaliste, comitati di quartiere, partiti di opposizone o semplici cittadini.

Spostiamoci di venti metri, sempre in piazza Boris Giuliano, anzi all’angolo tra la piazza e via Remigio Roccella, accanto al primo capannone dell’ex Itis. Dal venerdi pomeriggio al lunedì pomeriggio una montagna di rifiuti addobba quell’angolo della piazza più frequentata della città, quella dei pub, dei locali in cui centinaia di giovani e non, provenienti anche dai centri vicini, trascorrono le sere di venerdì, sabato e domenica per ascoltare musica, bere un drink o mangiare qualcosa. Si tratta in buona parte dei rifiuti degli stessi locali (scatoli di alcolici, bottiglie, sacchi di tufo di caffè) ai quali si aggiungono i sacchetti di qualche residente pigro che, visto l’andazzo, deposita lì i suoi ridiuti domestici. Nessuno delle centinaia di frequentatori serali ha niente da ridire, anzi qualcuno passeggiando con la lattina o la bottiglia di birra in mano, alla fine la deposita lì, anziché nei pur numerosi contenitori distribuiti nella piazza. E da un po’ di tempo quell’indegno spettacolo addobba quell’angolo tutti i giorni, dalla sera quando i locali chiudono e depositano lì i loro rifiuti, al primo pomeriggio dell’indomani, quando il personale della Tekra, con somma pietas, ripulisce il marciapiede.
Ora, è evidente che i locali, soprattutto nel fine settimana, hanno una produzione enorme di rifiuti di vario tipo e che difficilmente possono tenerli tre giorni all’interno delle loro attività. Ma la soluzione sarebbe stata banale. Una disposizione di servizio aggiuntivo da parte del Comune alla Tekra e un ordine di servizio straordinario a un paio di lavoratori che andassero sul luogo ogni mattina alle sei (compresi i festivi) insieme a uno stringente protocollo con i locali per l’orario di conferimento dei rifiuti, per esempio dopo la mezzanotte. Solo organizzazione, dunque.

Mi viene in mente quello che mi ha raccontato un funzionario del comune ora non più in servizio del primo giorno in assessorato dell’ineffabile, untuoso assessore. Mentre il dirigente cercava di riassumere tutte le attività in corso e di descriverne lo stato e l’importanza, l’omino disse: “A me di queste attività non interessa niente. A me interessa solo il consenso, per questo lavorerò e di questo tutti dovrete rispondermi”.
 
Sia nel primo caso che nel secondo (ma se ne potrebbero fare decine di altri) si registrano da un lato il totale menefreghismo degli amministratori, la mancanza di quella cura di tutto ciò che è pubblico che dovrebbe essere la sola azione che un amministratore dovrebbe condurre, ma dall’altro l’assuefazione dei cittadini, singoli o associati e la scomparsa dell’indignazione che in altri momenti della storia recente di Piazza è stata usata e, perfino, abusata.
La palma, dunque, la palma morta è una metafora di una città morente, di una comunità che ha perso il senso dello stare insieme, del condividere (dividere con), della difesa quotidiana dei propri diritti e del proprio decoro e perfino la capacità di indignazione.
E se per un amministratore pubblico non prendersi cura di ciò che è di tutti è il peggiore dei reati, anche se non è perseguibile, per un cittadino di un paese democratico l’assuefazione al degrado è la rinunzia al progresso e, in fin dei conti, al significato della democrazia stessa.
Se poi si capisse che tra la cura di tutto ciò che è collettivo e il consenso deve esserci un forte legame, forse tanti omini resterebbero nel posto giusto: a casa.

Carmelo Nigrelli



 

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