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30/05/2017 - 08:20:35

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UNA CANTATA PER CONTINUARE A SPERARE

I ragazzi della Scuola Media Cascino e lo spettacolo tratto dal libro di Luciano Violante: Cantata per la festa dei bambini morti di mafia.


Una cantata per continuare a sperare BLOGICO  di Paolo Centonze

Chi segue il blog sa che non mi sono mai occupato né della realtà locale né di quella regionale perché non la ritengo funzionale agli argomenti fin a ora trattati. Oggi però, nell'ambito di una riflessione riguardante la società europea, vorrei affrontare un tema spinoso e delicato: la mafia. Nell'ambito di un progetto scolastico dedicato alla legalità, in ricordo del venticinquesimo anno delle stragi di Capaci e via d'Amelio, i ragazzi della Scuola Media Cascino magistralmente guidati dalle professoresse Laudani, La Vaccara e Tornetta, hanno messo in scena uno spettacolo tratto dal libro di Luciano Violante: Cantata per la festa dei bambini morti di mafia. 

Vi confesso che sono andato allo spettacolo con il naturale approccio di una persona che vedrà esibirsi dei ragazzini e invece sin da subito siamo stati immersi in un'atmosfera lugubre e irreale: da una scenografia interamente costruita con pannelli neri spunta mia figlia, in dialetto recita una poesia di una madre che ha perso il figlio nella strage di Portella della Ginestra. La madre ricorda i sogni che faceva quando il figlio era bambino, immaginandolo re o cavaliere, ma ora non lo sogna più perché la disperazione la porta a pensarlo come Cristo in croce.
A quel punto la scena si è arricchita di una trentina di giovani, che raccoglievano regali poco prima del boato della bomba di Capaci e nel giardino dei bambini morti di mafia arriva Francesca, vestita di bianco, gli uomini della scorta e, alla fine, Giovanni: «I carrubi scossero le loro alte cime, gli ulivi piegarono fino a terra i loro rami, tutti i bambini corsero verso Capaci per accogliere i nuovi arrivati nella città degli onesti morti di mafia»,.
Gli attori, tutti ragazzini, personificano sia gli adulti morti di mafia che i bambini; questi cominciano a urlare contro il pubblico un ricordo di Palermo, città di sete e di sangue, di odio e di forza, di intelligenza e di loschi poteri. Ci troviamo a riflettere profondamente sull'essenza della nostra sicilianità. Convinti di avere intelligenze superiori e furbizia, un territorio unico e bello, dimentichiamo le nostre colpe nel non curare né il territorio né le generazioni che dovranno viverlo.
Mi chiedo quale sia il ruolo che devono avere le nostre esistenze e la cosa sorprendente è che a ricordarci tutto questo sono ragazzini di undici, dodici e tredici anni. A ricordarci questo sono proprio i nostri figli.
Un altro boato e il primo ad arrivare questa volta è Paolo, un altro innocente nel giardino dei morti di mafia, seguito da Emanuela e accolto dai tanti dimenticati cittadini di quella triste città, perché i ragazzi urlano che se si muore per gli altri si è fatto solo il proprio dovere.

La commozione è palpabile e si trasforma in pianto quando entra in scena Tonino, un umile calzolaio che è nato per sbaglio, per sbaglio si è sposato con la prima donna che gli ha sorriso, per sbaglio ha concepito tre figli e per sbaglio è morto in una sparatoria che lo vide per sbaglio coinvolto.
Le donne morte di mafia organizzano una festa per i bambini, ma i piccoli non vogliono festeggiare e ricordano terribilmente, a squarciagola, il brutale modo in cui sono stati uccisi: assassinati a lupare, buttati nei pozzi, schiacciati dalle ruspe, massacrati nelle masserie, uccisi dalla dinamite e le loro colpe quella di essere amici, fratelli, vicini, colpevoli di aver vissuti in quartieri di lupi, in città di lupi in una nazione di lupi: «Sicilia se avessi saputo costruire diritti come hai costruito giardini e cortili: Calabria se avessi potuto riverire i tuoi figli come hai riverito i potenti; Campania felice perché non hai rispettato le tue intelligenze?»
Inizia un canto di speranza che vede la Sicilia risorgere e bloccare con le ginestre legnose e le zagare spinose, i passi dei mafiosi e dalla lava nascono fiori viola, uno per ogni bambino ammazzato dalla mafia e fioriscono orchidee color della notte su steli di vento. 

A questo punto iniziano gli interrogativi dei bambini rivolti verso il pubblico: «Di quanti morti avete ancora bisogno voi uomini onesti che ancora vivete? E quanti funerali dovete ancora seguire e quante messe cantare? Quante lapidi dovete inchiodare e quante candele dovete accendere? Quanti cortei dovete snodare? Quanto tempo ci vuole ancora per farvi alzare la testa? Di quanti corpi straziati, di quante amicizie spezzate, di quante famiglie schiantate, di quanti amori spezzati, di quanti morti avete ancora bisogno?»
I bambini si interrogano sul perché in uno Stato civile si debba morire in una notte di maggio a Firenze o sciolti nell'acido e loro da lassù ci giudicano, non per quello che diciamo, ma per quello che facciamo. Non si possono ricordare e piangere i morti di mafia se non si ha il coraggio di fare quello che hanno fatto loro. Le accuse si trasformano in suppliche: «Palermo fai nascere nuovi figli con occhi di mare, non venderli all'ultimo dei venuti. Cerca la verità e la giustizia dentro le tue strade. Salva i tuoi figli prima che muoiano tutti, difendili! Per non trasformarti in una gigantesca cripta dei cappuccini».

Questo è il vento nuovo della storia e della memoria che passa tra i carrubi e gli ulivi, un vento di libertà e coraggio, di indignazione e speranza, di serenità e giustizia, che spazza via tutta l'ipocrisia, la corruzione e la sporcizia dalle strada e dalle piazze di Palermo e Reggio Calabria, scrosta i quartieri di Napoli dal sangue e dalla violenza e porta via con se dubbi, perplessità pigrizia ed ignoranza.
Dopo un'ora ci alziamo sconvolti dalle nostre sedie, diversi, dubbiosi, ma con una vivida speranza: fino a quando vedremo dei giovani impegnati nel chiedere a gran voce il rispetto dei diritti e della dignità umana ci sarà un futuro per tutti noi e per la nostra terra. Il vero coraggio non è per chi lascia la nostra terra perché non offre nulla, ma per chi resta e cerca di fare il suo dovere tra mille difficoltà e impedimenti. Noi abbiamo l'obbligo morale di dare delle risposte ai nostri giovani e di dare loro un futuro migliore e sicuro e non invitarli ad andarsene per vivere in un mondo migliore. Non è questo il nostro compito, non dobbiamo essere gli artefici della morte della nostra terra, della nostra civiltà e della nostra cultura.

Paolo Centonze



 

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