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21/12/2014 - 07:21:40

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“DUE PERSONE CONVIVENTI, GAY O ETERO, SONO UNA FAMIGLIA”. LO DICE IL GIUDICE

Sentenza rivoluzionaria del giudice civile di Treviso, che boccia quanto precedentemente stabilito dal Comune e appoggia il ricorso di un uomo che si era visto negare l'affidamento delle ceneri


“Due persone conviventi, gay o etero, sono una famiglia”. Lo dice il giudice

Due conviventi che hanno un rapporto stabile, serio e duraturo, omosessuale o eterosessuale che sia, possono essere considerati una famiglia. E’ questa, in sintesi, la sentenza alla quale è giunto il giudice Alberto Barbazza della prima sezione civile del Tribunale di Treviso per quello che potrebbe rappresentare un importante precedente storico nel percorso per l’affermazione dei diritti civili sia delle persone conviventi, sia delle cosiddette “coppie di fatto”. Il caso, come riportato su La Tribuna di Treviso, è quello un 79enne trevigiano che ha ottenuto il permesso di tenere le ceneri del suo compagno, morto dopo una convivenza di 25 anni. Il Comune aveva negato all’uomo il diritto di conservare il ricordo funebre, così Giuseppe Sinaldi, ex operatore cinematografico, ha fatto causa e il 15 dicembre il giudice ha decretato che due persone, anche dello stesso sesso, che condividano per lungo tempo la casa, il conto in banca e, insomma, abbiano una vita assieme per quella che ha tutti gli effetti non può che considerarsi una relazione di affetto, possano essere considerate famiglia.

"Né fratelli, né parenti, Giuseppe e Sergio – si legge sul giornale locale – avevano però condiviso tanto, forse tutto: dalla casa ai conti in banca, dalla macchina ai viaggi, perfino il lavoro. Un legame stretto, unico, quello tra i due, ma senza etichette. Erede degli averi dell’amico, Giuseppe però chiese di poter essere il custode delle sue ceneri pur non essendo un parente. Ma il Comune di Treviso rispose no, e lui decise di non darsi per vinto."

Ma un rapporto di convivenza more uxorio equivale ad uno di familiarità.
Ed è proprio sul concetto di ‘familiare’ che si è basata la sentenza. Una parola “assente nella Costituzione come nel codice civile” scrive il giudice Barbazza. Nell’atto vengono chiamate in causa la Corte Costituzionale e la Corta di Cassazione, fino ad arrivare a definire “la rilevanza giuridica e la dignità stessa del rapporto di convivenza” e sottolineare come l’orientamento giurisprudenziale nei confronti della famiglia di fatto e dei conviventi punti a tutelarne i diritti “anche all’interno di una unione di fatto che abbia caratteristiche di stabilità e serietà”.

 




 

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