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07/12/2016 - 08:47:57

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REFERENDUM: LE MACERIE DEL PD, MATTEO RENZI, I CITTADINI: COS'È RIMASTO SUL CAMPO DI BATTAGLIA.

Una domanda di sinistra, cioè di equità, di solidarietà, di riequilibrio c’è ed è sempre più forte. Chi saprà dare una risposta?


Referendum: le macerie del Pd, Matteo Renzi, i cittadini: cos'è rimasto sul campo di battaglia. Il sabato del Villaggio 
Edizione speciale.

di Carmelo Nigrelli

Ho preferito aspettare qualche giorno prima di mettere nero su bianco le mie riflessioni sugli esiti del referendum un po’ perché volevo prendere distanza dalla fase emozionale, un po’ per rimanere fuori dal profluvio di commenti, più o meno sensati, che ha invaso il web nelle 48 ore successive allo spoglio.


Cosa è rimasto sul campo di battaglia tra macerie fumanti e corpi esanimi dopo una forsennata battaglia corpo a corpo durata sei mesi?
Proviamo a ricostruire.
La Costituzione così come è scritta dopo la riforma che aveva aumentato il ruolo delle regioni, che non era esattamente quella votata dai costituenti, è rimasta in piedi e ci resterà ancora a lungo. Adesso sarà più difficile equiparare i sistemi sanitari regionali. Inoltre si pone la questione delle province che erano state svuotate di funzioni dalla Delrio in previsione della loro cancellazione dalla carta e invece sono lì, vive e vegete. Occorrerà, a questo punto, riempirle di nuovo di funzioni. La Delrio va riscritta. Poi c’è la questione della navetta camera-senato che sarebbe stata cancellata dall’abolizione del bicameralismo perfetto. Già da anni questa era stata superata da un uso spropositato e dubbio della decretazione d’urgenza, cioè dei decreti legge approvati dal governo e imposti al Parlamento, di fatto espropriandolo della sua funzione. Occorrerà rivedere il sistema di norme che la regola perché i cittadini hanno ribadito che vogliono una repubblica parlamentare pienamente operante. Le altre cose mi sembrano secondarie.


Le macerie del Partito democratico. O forse bisognerebbe dire quello che era il partito democratico. La volontà di Renzi di trasformare il referendum in un plebiscito sulla sua azione di governo e, di conseguenza, sulla sua azione come segretario del Pd ha provocato un terremoto. Che non è stato compreso se ancora quell’uomo dalla mente inutilmente spaziosa di Lotti ha affermato che il Pd ha ancora il 40% dei consensi come alle europee. Non solo è l’ennesima notizia da postverità (parola che, secondo gli Oxford Dictionaries è la parola dell’anno per il 2016) cioè «denota, circostanze nelle quali fatti obiettivi sono meno influenti nell’orientare la pubblica opinione che gli appelli all’emotività e le convinzioni personali», ma dimentica che il Si è arrivato da elettori di Forza Italia, della Lega e perfino dei 5stelle. E se è sicuro che questi elettori non voteranno per il Pd alle prossime politiche, non è detto che i simpatizzanti dei democratici che hanno votato No, voteranno Pd alla prossima tornata elettorale. In ogni caso la voce dal tweet fuggita dimostra la pretesa autosufficienza del Pd (o di un nuovo Pd) che è speculare a quella dichiarata dei grillini che vogliono raggiungere la maggioranza assoluta da soli. In entrambi i casi mi sembra un pensiero preoccupante. 
È possibile sintetizzare gli innumerevoli errori del Pd e del suo segretario in pochi concetti. Molto difficile, tanti sono stati. Forse alla base ce n’è uno culturale che si può definire, con lo storico americano Mark Lilla, “l’insufficienza delle identità”. In altre parole l’attenzione alle identità che il governo Renzi ha mostrato (e che è la parte forse più positiva e importante della sua azione), ha di fatto lasciato sullo sfondo i fatti di carattere generale. Cioè: fare la legge sulle unioni civili, sul dopo di noi, sul terzo settore, sulla cooperazione internazionale, sull’autismo, contro il capolarato ha sicuramente reso migliore il Paese, ma non ha affrontato la questione economica e sociale di fondo (l’economia non riparte, i giovani non lavorano – e sono quelli che hanno votato in massa per il No –,  le donne e gli ultracinquantenni fuori dal mercato del lavoro sono troppi), né ha messo un freno allo strapotere delle banche (anzi), per esempio imponendo per legge la separazione tra banche d’affari e istituti di credito.
Ora il partito, che in due anni e mezzo è scomparso dai territori, è stato volutamente disarticolato, ha lasciato dietro le spalle molti di coloro che l’avevano costruito per inglobare, soprattutto al sud e in Sicilia, pezzi di ceto politico clientelare che avrebbero dovuto portare più voti, non può reagire alla sconfitta semplicemente perché non c’è e l’imminente battaglia congressuale molto probabilmente porterà a una scissione suicida.
Ma forse non si tratta di errori, ma di un disegno preciso che mia moglie ha sintetizzato così: Credo Che dopo il primo momento di scoraggiamento, Renzi sia tornato a fare Renzi(!?!??) e spingerà per elezioni a febbraio dopo avere messo la fiducia sulla finanziaria in modo da giocare sempre in  velocità. Infatti, in questo modo, non consentirà ad un nuovo governo di operare , non consentirà all' opposizione interna del partito di organizzarsi anzi LA  spingerà fuori. In questo modo ha seppellito il PD di Prodi e Veltroni e creerà un partito di centro Che si allea con Forza Italia mettendo ai margini la sinistra e Salvini per tentare di vincere le elezioni.»
Assai verosimile.


Matteo Renzi 

A proposito di Renzi, certamente lui è rimasto assai ammaccato alla fine della battaglia e ha fatto un discorso a caldo suggestivo e che, per una volta, lo ha fatto sembrare uno statista. Onore al merito. Si è perfino commosso.
Dopo l’incontro con il giglio magico (Lotti, Boschi e compagnia fiorentina) ha però cambiato strategia facendo immaginare che potrebbe rimanere alla guida di un governo per l’ordinaria amministrazione fino a febbraio, quando si potrebbero tenere le elezioni. Si tratta di un cambiamento di strategia spericolato. Con il discorso di commiato sembrava che stesse investendo sul futuro (ha ancora 42 anni, fa un passo indietro con onore lasciando governare qualcun altro con i numeri del Pd e, dopo il congresso, va a guidare il partito alle politiche del 2018 facendosi eleggere deputato e candidandosi alla guida del governo dopo avere ricompattato il partito). Con le decisioni che sembra avere preso nelle ultime ore mi verrebbe da scrivere che il messaggio è del tipo #Italiastaiserena. L’obiettivo sembra del tipo “pochi, maledetti e subito”, ma invece potrebbe essere quello indicato da mia moglie. Se seguisse il consiglio di Lotti, Renzi perderebbe del tutto l’aura di rottamatore di produttore di aria nuova in politica e diventerebbe il doroteo 2.0: il centro del centro per rimettere in piedi una politica dei due forni.
Il mio amico Giovanni Monasteri ha scritto: «Anche dopo la tranvata, fior di commentatori continuano a ripetere che, finito Renzi, abbiamo esaurito il campionario di statisti. Siamo spacciati. Dopo di lui il diluvio, il giudizio di Dio, la vittoria inevitabile di quei poveracci de 5stelle; perché uno più furbo, più smart, più telegenico di lui non si trova. 
Ce ne vorrebbe uno giovane, forse. Persino più giovane di Di Maio.
Insomma, questo genio della politica ha toppato ogni previsione, ha copiato il programma di Berlusconi e preso in prestito le parole d’ordine dei grillini (il voto contro la casta, il taglio delle poltrone, il taglio delle spese); ha fatto una campagna referendaria che mi vergogno pure io per lui, pur avendo votato no; ammette che ha sbagliato tutto, chiede scusa e se ne va, e tutti a dire che non c’è nessuno in grado di sostituirlo. Sono andati a votare pure i morti dei cimiteri per mandarlo a casa, e nessuno è più carismatico di lui. Devono tirargli le scarpe appresso pure a Firenze perché ci venga qualche dubbio su tanto carisma?». Questa efficace sintesi, la dice lunga sull’appannamento di Renzi innovatore.


Il cittadino

Chi resta in piedi, vincitore per una volta, è il cittadino – elettore che ha votato, magari senza sapere nulla della riforma costituzionale, ma lanciando un segnale preciso: vuole tornare a contare dopo vent’anni di politica sempre più distaccata dalla realtà e dai suoi problemi. Vogliono tornare a contare i giovani, i disoccupati, quelli che vivono nelle periferie delle grandi città e nelle regioni periferiche, i cittadini del Mezzogiorno che vedono andare via senza ritorni i loro figli più bravi. È una buona notizia, ma che rischia di diventare cattiva se questa domanda dovesse trovare risposta nella destra becera di Salvini e Meloni e in un non-partito dalla gestione ancora oscura come il M5S. Se però sotto questa spinta i grillini si riorganizzeranno abbandonando la finta democrazia internettiana e sapranno selezionare i loro rappresentanti anche per competenza, allora avranno vita lunga.
La tristezza che rimane è quella di una sinistra che non c’è più, che ha perso la delega delle fasce che avrebbe dovuto rappresentare, che è stata attenta a sembrare liberista e non ha difeso i ceti deboli, che è diventata establishment. Eppure una domanda di sinistra, cioè di equità, di solidarietà, di riequilibrio c’è ed è sempre più forte. Chi saprà dare una risposta?

Carmelo Nigrelli



 

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