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31/12/2016 - 10:20:04

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ALLA RICERCA DELL'ÉLITE PERDUTA.

La crisi della classe dirigente di Piazza dentro la più vasta crisi di quella nazionale.


Alla ricerca dell'élite perduta. Il sabato del Villaggio
Carmelo Nigrelli

Gli articoli di fondo di fine anno sono tradizionalmente dedicati a riflessioni connesse con il significato e il valore della più importante festività cristiana oppure si dedicano a fare la sintesi dei principali eventi accaduti nell’anno trascorso.Possono però anche essere luogo di riflessione su temi più generali sui quali si invitano i lettori, complice il maggior tempo libero a disposizione tra una festività e l’altra, a soffermarsi.

Mi pare che una questione rilevante che nel corso del 2016 è emersa con una forza indubitabile sia quella delle élite, ovvero di ciò che in altri termini viene chiamata “classe dirigente”, quel gruppo ristretto di persone, cioè, che ha il compito di assumere decisioni per nome e per conto di tutti gli altri che vengono rappresentati. Almeno così è in democrazia.
Molti commettono l’errore di considerare che si parli solo dei leader politici, dei capi partito, dei parlamentari. Fanno invece parte della classe dirigente anche tutti i grandi dirigenti del settore pubblico e del settore privato, i grandi imprenditori e i rappresentanti dei cosiddetti “corpi intermedi” (sindacati, organizzazioni dei datori di lavoro, ecc.).
In un sistema democratico che funziona, l’élite politica viene scelta dai cittadini attraverso le elezioni e la partecipazione alla vita delle forze politiche organizzate; l’élite dei grandi funzionari viene selezionata in maniera meritocratica, perfino i grandi dirigenti di azienda vengono scelti in funzione delle loro capacità.da Consigli di Amministrazione che rappresentano gli azionisti

Da questo sintetica descrizione si capisce subito perché le cose in Italia – più che nel resto d’Europa – non funzionano. La commistione tra i diversi pezzi di élite ha creato un groviglio di interessi che ha fatto passare in secondo piano i loro compiti. Spesso i dirigenti dello Stato (e anche quelli delle aziende private) sono scelti non per capacità, ma per fedeltà a uno o all’altro politico importante; i rappresentanti dei sindacati o dei datori di lavoro esprimono posizioni che si rispecchiano in quelle, ancora una volta, di politici e non dei loro rappresentati; gli imprenditori devono le loro fortune non alla capacità, ma alla compiacenza interessata di alcuni politici. In questo groviglio nascono o si sviluppano corruzione, concussione e tutte quelle pratiche che hanno sempre più allontanato i cittadini dalla partecipazione all’azione pubblica dai partiti, facendo loro disertare le elezioni e che hanno fatto perdere rappresentatività anche a sindacati e associazioni. La sensazione che i componenti della classe dirigente avessero come obiettivo solo gli interessi propri o dei propri amici è stata schiacciante e disperante. Queste élite hanno fallito.

La risposta più frequente, in Italia, come in Francia, in Spagna, come in Germania è stata offerta da coloro che hanno ritenuto di proporre come reazione al fallimento di questa élite, l’idea che si possa fare a meno della classe dirigente tout court, che la si potesse saltare con strumenti di democrazia diretta. Ha ricordato qualche giorno fa Giovanni Orsina su La Stampa che già un grande filosofo spagnolo, José Ortega y Gasset, cent’anni fa aveva sostenuto che questa idea  accelera la parabola discendente delle nazioni anziché invertirla.

L’idea che si possa fare a meno delle élite, che è il cavallo di battaglia dei populismi, è, in sé, una utopia irrealizzabile, ma è uno slogan buono per attivare processi rapidi di sostituzione dei classe dirigente che prescindono da una vera selezione. Così, in fasi come queste, non emergono i più bravi a fare le cose in rappresentanza delle comunità, ma coloro che urlano di più o che fingono di immedesimarsi nel singolo cittadino o rappresentato, illudendolo che è lui personalmente ad assumere le decisioni. Ma c’è di più: in questo modo si crea una oligarchia che non è aristocrazia per usare i termini della Grecia classica, cioè si consegna il potere delle decisioni ai pochi che non sono certo i migliori.

Per limitarci alla politica, così è attualmente negli USA, così rischia di essere in Francia. Così è stato in parte con il Pd di Renzi che, sull’ondata della Leopolda, ha portato al governo tanta gente del tutto inesperiente e, in qualche caso inadeguata, e, soprattutto, così è in tante amministrazioni locali del M5S. I meccanismi che Renzi ha prodotto e imposto dentro il Pd, così come quelli della coppia Grillo-Casaleggio, hanno poco a che fare con la democrazia e se ne sono visti i risultati per il primo al referendum il cui risultato nasce soprattutto dalla scomparsa del Pd dai territori, per i secondi a Roma, come esempio di quanto sta avvenendo nella maggior parte delle amministrazioni a guida grillina.
E il problema riguarda, in maniera ancora più drammatica, la Regione siciliana, a partire da un Presidente che si è rivelato un autentico bluff, per giungere a una compagine governativa fatta di personaggi di terza e quarta fila proiettati immeritatamente in posti di grande responsabilità, incapaci di azioni efficaci.

E infine, allontanandosi dal centro, diventano più che drammatiche la situazione attuale e la prospettiva nelle città. A Piazza, per esempio, dove a un anno e mezzo dalle prossime elezioni, non si vede ancora una sola personalità degna di menzione che intenda mettersi a disposizione della comunità per proporsi di cominciare a riparare i danni prodotti dall’attuale amministrazione. Dove i sindacati e le rappresentanze di categoria sono ridotti a Caf. Dove i veri imprenditori sono così pochi che non fanno squadra e non hanno nessuna intenzione di farsi carico della comunità. Dove la già piccola borghesia legata alle professioni che in passato è stata la vera élite piazzese – dai Roccella a Nino Arena e perfino a Giuseppe Sammarco – è in larga parte, ogni giorno più velleitaria, provinciale, autoreferenziale, adusa ai complimenti e ai premi reciproci e mai capace di un pensiero lungo. Bovarista oltre misura. Mentre molti dei giovani migliori se ne sono già andati o se ne stanno andando in una silenziosa e amplissima diaspora.

Un Paese senza élite, dunque, a Roma, come a Palermo, soprattutto, come a Piazza. Il 2017 sarà un anno di elezioni – politiche e regionali. Subito dopo ci saranno le comunali. È necessario che i cittadini si rendano conto che non si può fare a meno delle élite, di una classe dirigente, cioè, che venga selezionata non per folate di entusiasmo irrazionale, non sull’onda del desiderio di mandare tutti a casa, indistintamente, e neppure perché garantisce vantaggi personali, ma a partire da una precisa presa di responsabilità di ogni singolo elettore sapendo che per creare una nuova classe dirigente ci vorranno anni di lavoro tra la gente, di crescita della democrazia partecipativa, di regole e di costruzione di fiducia e di ricerca di autorevolezza e non di autorità. E questo è un buon augurio per l’anno nuovo.

Carmelo Nigrelli



 

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