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16/05/2017 - 09:49:12

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L'ARTE ORATORIA, LA VERITA' E LA POLITICA

La coscienza e la cultura dell'uomo occidentale non hanno avuto il tempo per adeguarsi, perché la rivoluzione dei social li ha travolti


L'arte oratoria, la verita' e la politica BLOGICO di Paolo Centonze

Esistono i fatti, le verità inconfutabili, la realtà storiche? Esiste un linguaggio asettico per raccontare i fatti che non dia spazio ad interpretazioni o dubbi? Qual è il compito delle classi dirigenti e di coloro che guidano la società? Ha senso parlare di post-verita come tratto distintivo della società in cui viviamo?

Vi confesso che la scorsa settimana è stata per me molto travagliata dal punto di vista delle riflessioni, perché dopo aver letto l'intervento di Alessandro Baricco su Robinson del 30 aprile 2017, mi sono chiesto se avesse ancora senso parlare di post-verità. Lo scrittore torinese sostiene che questa definizione è infondata, addirittura una bufala, e non le riconosce nessuna caratteristica peculiare che la contraddistingua rispetto ai precedenti falsi storici. Egli sostiene che non è corretto parlare di post-verità, perché nella storia dell'Occidente non è mai esistita un'epoca delle verità. A supporto di questa tesi il famoso saggista  porta due esempi: le convinzioni della Chiesa del Seicento, che nonostante le evidenze scientifiche non ammetteva i macroscopici errori della propria visione cosmogonica, riconducibile a interpretazione dei libri sacri e l'avventura sportiva di Lance Armstrong che, mentendo, ha vinto ben sette Tour de France. Nell'immediatezza il discorso sembrava non avere pecche, ma sin da subito ho avuto difficoltà a rintracciare, nei due avvenimenti descritti, operazioni legate alle fake news: per quanto riguarda la prima, si può obiettare che la Chiesa non riconosceva alcun valore alla scienza e pertanto considerava le verità scientifiche come eresie. Dobbiamo quindi immedesimarci nel pensiero degli intellettuali del Seicento, per capire che questi erano fermamente convinti che le verità fossero scritte unicamente nei libri sacri. Per quanto riguarda le falsità di Lance, con semplicità e avendo un minimo di conoscenza sportiva, posso affermare che il programma portato avanti da Armstrong, dalla Us post, la sua squadra, e da Michele Ferrari, medico fautore dell'uso dell'epo nel ciclismo, fosse dovuto al delirio di onnipotenza di una persona spregevole che non aveva alcun rispetto né per i compagni, né per gli avversari. Armstrong ha costruito attorno a sè un'immagine vincente, non basata su falsità, ma sulle vittorie ottenute con imbroglio e con un uso scientifico della propaganda, dei media e della voglia di riscatto di milioni di persone, mentre la Chiesa bollava la conoscenza scientifica come eresia. 

Partendo da queste premesse, cercherò di rispondere al primo quesito: esistono i fatti, le verità inconfutabili e le realtà storiche? Già nell'antica Grecia, Protagora scriveva che la verità al singolare non esiste e per ogni discorso esistono almeno due interpretazioni che, seppur contrapposte, rappresentano comunque una parte di verità. Pericle esaltava l'arte oratoria come l'arte del comando e del controllo sociale: non è importante discutere sulla realtà di un fatto, ma concentrarsi esclusivamente sul perché quel fatto dev'essere raccontato, quale obiettivo deve sortire il racconto e quali reazioni intende suscitare sulla platea che ascolta. Così sembrerebbe che la realtà viene sempre coperta e mascherata da sotterfugi e interpretazioni verosimili, volute da élite intellettuali che guidano le opinioni pubbliche secondo il volere della società dominante. La storia pertanto è paragonabile a un materiale liquido, che assume una forma a seconda del contenitore dov'è collocata. Con Baricco potremmo affermare, dunque, che la post-verità «è il nome che noi élite diamo alle menzogne quando a raccontarle non siamo noi ma gli altri». Non esistono dunque realtà storiche, ma solo fatti storici, che sono soggetti a interpretazioni delle classi dirigenti.  

Passiamo al secondo quesito. La tipologia del sapere cambia con l'avvento della scienza e dal Seicento in poi il sapere universale ha continuamente cercato l'obiettività del sapere scientifico e dei numeri. Ogni fenomeno può essere spiegato attraverso la scoperta sempre più accurata e precisa di verità scientifiche, che per assunto sono vere e inconfutabili fino a quando non vengono scientificamente smentite. Per secoli la cultura occidentale ha creduto di aver trovato l'assunto del sapere. La metafisica si riconosce nella fisica e la matematica è la regina del sapere, l'unica che ci permetterà di conoscere il tutto e il niente. Quindi l'unico linguaggio obiettivo e asettico è quello dei numeri, ma questo può essere solo un supporto statistico dei dati storici e non può aiutare a raccontarli. 
Riguardo al terzo e al quarto quesito, li tratteremo congiuntamente cercando di capire se le verità tecnocratiche siano diverse dalle precedenti. Il sapere scientifico viene messo in discussione nell'era post-moderna, così il Presidente americano si permette di dire che il cambiamento climatico è una bufala inventata dai cinesi e che i dati sul surriscaldamento del pianeta, non sono altro che falsità messe in giro dai liberali per creare falsi allarmismi. I numeri, le statistiche, gli studi diventano essi stessi motivo di discussione non nel merito, ma nel metodo. Viviamo in un'epoca in cui chiunque può in un batter d'occhio scoprirsi esperto di un settore, inventarsi ogni tipo di conoscenza e dialogare su argomenti che non conosce. Lo spot e l'approssimazione diventano il paradigma su cui fondare la propria cultura. Mark Thompson in un recente saggio La fine del dibattito pubblico scrive: «In un mondo dell'informazione sempre più sconvolto dalle tecnologie digitali, in cui le notizie si rincorrono incessantemente e hanno una vita sempre più breve, i commenti sono sempre più a caldo e privi di approfondimento».


L'era postmoderna è basata sulla documedialità, scrive Maurizio Ferraris su Robinson del 30 aprile 2017, che conduce a pensare all'attuale rivoluzione tecnologica come una rivelazione socio-antropologica. Secondo questa tesi, il web viene considerato un apparato complesso, il preforna che determina una serie di verità con le quali il potere è costretto a misurarsi. Ed eccoci all'ultima questione: è possibile una democrazia senza verità condivise? 
Il mondo documediale crea consensi, promettendo in cambio visibilità e possibilità di essere apprezzati dagli altri, qualunque cosa uno dica o affermi. In fondo nella società post-moderna, l'individuo non è alla ricerca della verità ma di  gruppi che gli diano ragione. Ai social le persone non affidano le verità o la conoscenza, ma le emozioni e da questo partono milioni di verità che non hanno nulla a che vedere con i fatti. Si dialoga e si riflette di pancia, poiché non esiste alcun vincolo né morale né etico, che costringa gli utenti a constatare che la notizia pubblicata sia vera, falsa o verosimile. Così non è possibile formare un'opinione pubblica, una realtà condivisa o piattaforma su cui costruire dei valori comuni, sulla quale costruire il futuro delle società tecnocratiche. Il controllo delle élite sull'informazione è definitivamente scomparso per dar spazio a miriadi di riflessioni, alcune vere altre basate su falsità abnormi. 

Da queste brevi e non esaurienti riflessioni dovremmo concludere con un acceso pessimismo, nel vedere l'ineluttabile crollo della società occidentale, ma non è così.  Sono d'accordo che non esiste un'unica realtà storica e un linguaggio asettico, ma nell'epoca attuale quello che viviamo è un unicum. La società post-moderna è quella in cui si è realizzata la democrazia diretta. L'unica che permette alle persone di esprimere le proprie opinioni, anche se false, senza subire conseguenze penali. Nelle sue estreme teorizzazioni la democrazia coincideva con un potere anarchico, che avrebbe regolato i rapporti interpersonali e sociali e proprio questo che sta accadendo.

Per noi abituati alle rappresentanze comuni, alla stampa di regime, questo sicuramente è uno choc perché non siamo abituati a questa ondata di commenti e pareri. La coscienza e la cultura dell'uomo occidentale non hanno avuto il tempo per adeguarsi, perché la rivoluzione dei social li ha travolti e quindi si è creata una discrasia, tra le opportunità fornite dal web ed il mondo di quelle che eravamo abituati a chiamare classi dirigenti.
A questo punto l'unica guida possibile è quella di un popolo colto, che accresca progressivamente il proprio livello culturale e che sappia sfruttare nel modo migliore le possibilità che la democrazia diretta offre. Il rischio è che falsi assolutismi e populismi e la malafede di chi sa usare meglio degli altri questo nuovo modo di comunicare, distrugga tutto questo. 

Paolo Centonze



 

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